Si nascondevano nei silenzi,
nelle stanze chiuse,
nelle finestre appannate da respiri trattenuti.
Non le abbiamo viste,
quelle crepe sottili che si allargavano,
piano,
tra risate forzate e sguardi abbassati.
Erano negli occhi di chi scrutava il futuro
senza sapere se sarebbe arrivato,
nelle mani che tremavano mentre scrivevano parole
che nessuno avrebbe letto.
Giorni che si ripetevano uguali,
una prigione invisibile
dove i muri non erano di cemento,
ma di solitudine.
Li abbiamo chiamati fragili,
ma erano forti, più di quanto pensavamo.
Hanno costruito mondi dentro di sé,
hanno imparato a navigare nel vuoto.
Eppure, qualcosa si è spezzato.
Ora camminano tra di noi,
con passi incerti,
portandosi dietro una stanchezza che non appartiene alla loro età.
Le crepe sono ancora lì,
alcune si ricuciono lentamente,
altre restano,
a ricordarci che non basta sopravvivere
per tornare a vivere davvero.